C’è il re degli avvocati d’affari, lo stratega di casa Benetton e altri quattro senior sponsor ben conosciuti nel mondo dell’investment banking e del private equity. Il progetto comune? Portare a Piazza Affari la neonata Space collocando in Borsa la terza Spac del mercato (Special purpose acquisition company) dopo i precedenti di Italy 1 e Made in Italy 1. I nomi dei promotori, con quote uguali del 19% a testa, si leggono nella compagine di Space holding. Sergio Erede, avvocato e partner fondatore dello studio Bep, sta curando la legal structure del veicolo destinato alla quotazione sul segmento Miv del listino. Gianni Mion, il vicepresidente di Edizione e Sintonia, ha seniority e relazioni per contribuire a selezionare l’azienda target che Space porterà in contrattazione. Poi c’è il team più vicino al m&a e ai buyout. Ne fa parte Roberto Italia (presiede Space holding), partner del fondo Cinven che ha da poco ceduto Avio. Poi ci sono Carlo Pagliani ed Edoardo Subert, rispettivamente senior advisor di Morgan Stanley e Rothschild, banchieri con un ricco carniere di operazioni seguite quali managing partner delle due case d’affari. Infine, la squadra è completata da Alfredo Ambrosio, ex-banker della stessa Morgan Stanley che ha il 5% di Space holding.
TARGET 150 MILIONI
L’idea è raccogliere 100-150 milioni tra investitori istituzionali che, entro il termine di due anni, verranno impiegati per acquisire il 30% circa (comunque una minoranza) di un’azienda target da fondere per incorporazione assegnando ai soci azioni quotate della spac. In pratica Space potrà portare al listino una società con equity value di 300-400 milioni. Erede, Mion e gli altri sponsor ci metteranno del loro 4-6 milioni attraverso Space holding con un pieno commitment sulla valorizzazione in Borsa del target.
Ma ci sono almeno due differenze con i precedenti della Italy 1 di Vito Gamberale e Carlo Mammola (ha quotato il vending di Ivs) e Made in Italy 1 di Matteo Carlotti, Luca Giacometti e Simone Strocchi (Sesa computer).
La prima: Space non sarà lussemburghese, ma tutta italiana, un domicilio ritenuto più friendly verso la futura impresa partner e più lineare quanto a regole statutarie e governance. Anche il listing sul Miv (un mercato regolamentato) sottostà infatti alle norme sui consiglieri indipendenti e le quote rosa.
La seconda peculiarità è che si punta a una platea di sottoscrittori di respiro internazionale, investitori sofisticati, di cultura anglosassone, che potranno contribuire a far uscire l’azienda target dal circuito chiuso dei mutui in banca.
Gli sponsor di Space sono convinti che ci sia spazio. Basti dire che al Nyse e al Nasdaq ci sono 180 Spac, in Europa una ventina, in Italia solo due. Del resto le ipo languono: appena tre in tre anni tra Ferragamo, Cucinelli e Moleskine. La Spac può rivelarsi un utile acceleratore per arrivare a Piazza Affari senza passare per l’initial public offering, che espone l’imprenditore a un anno di lavoro e di incognite (sempre possibili) dei mercati azionari. E poi il commitment di sponsor di qualità, cioè promotori impegnati sul progetto con capitali propri, può aprire qualche porta socchiusa. Space punta a selezionare il target con un ampio screening su decine di candidati possibili, con una logica opportunistica. Guardando al meglio della meccanica, del lusso, dell’hi-tech. Esclusi solo i settori armamenti, commodity, energie rinnovabili, infrastrutture e attività in concessione. Requisiti saranno comunque la presenza internazionale, un marchio o una filiera da valorizzare, un’azienda familiare ma senza logiche familistiche. I sei sponsor di Space (resteranno impegnati anche nelle loro attuali attività) stanno ora limando regole e quadro societario. Non filtrano decisioni sui tempi del filing a Borsa spa e Consob né sulle banche che verranno contattate per selezionare i coordinatori dell’offerta, anche se è improbabile che la Spac possa debuttare a Piazza Affari prima dell’estate.
Daniela Polizzi e Carlo Turchetti